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Coronavirus e manutenzione degli impianti: che aria tira nei nostri ospedali?

27 Marzo 2020
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Coronavirus e manutenzione degli impianti: che aria tira nei nostri ospedali?


Coronavirus e manutenzione degli impianti: che aria tira nei nostri ospedali?

"Di fronte alla catastrofe attualmente in corso in Lombardia, con i suoi elevatissimi tassi di contagio e di letalità rispetto agli altri focolai, è urgente porsi la domanda. Che cos'è successo a Codogno, a Bergamo, a Brescia? In questa fase possiamo soltanto fare delle ipotesi... Io credo che ci siano dei fattori, che ancora non conosciamo, che possono favorire la diffusione e la permanenza del virus, eventualmente legati alle strutture ospedaliere. Esistono esempi precedenti: il virus SARS 1 era circolato attraverso la condotta dell'aria dell'Hotel M a Hong Kong. Oggi noi dobbiamo essere certi che il coronavirus non sia entrato negli impianti di aerazione di edifici vetusti"

Questo affermava pochi giorni fa la virologa Ilaria Capua in un'intervista.

Le sue parole fanno tremare, ma anche chiedere: in che modo le condotte dell'aria possono essere legate all'emergenza pandemica?

Siamo andati dunque a fare qualche domanda ad un vero esperto, l'Ingegnere fiorentino Sergio Giuseppini, che con oltre trent'anni di esperienza di progettazione di impianti complessi, ha al suo attivo l'aver avuto a che fare con la costruzione di molti ospedali, store e centri commerciali (tra i quali Ikea), in tutto il mondo. Pragmatico e di una competenza disarmante, ci confessa che già da molto prima dell'emergenza stava seguendo la situazione con preoccupazione. Quello che ci ha detto dovrebbe essere considerato e approfondito a fondo. Ecco le sue risposte


Coronavirus e manutenzione degli impianti: che aria tira nei nostri ospedali?


Ing. Giuseppini, in questo momento drammatico non possiamo esimerci dal fare una riflessione in merito alla correlazione tra inquinamento ambientale e diffusione della pandemia. Quale è la sua opinione in merito?

E’ un argomento più consono al settore medico/scientifico che si occupa della diffusione virale, tuttavia noi tecnici del settore impiantistico seguiamo con evidente interesse lo studio del fenomeno in quanto chiamati in causa per le eventuali misure correttive e compensative, naturalmente per la specializzazione di nostra competenza . Da tempo la comunità scientifica ha segnalato una correlazione tra inquinamento ambientale e diffusione, dimostrando un collegamento tra la propagazione delle infezioni virali e l’incremento delle concentrazioni di particolato atmosferico (es. PM10 e PM2,5); in sintesi il particolato atmosferico funzionerebbe da vettore di trasporto al quale il virus si attaccherebbe con un processo di coagulazione, rimanendo in atmosfera per lungo tempo (ore, giorni o settimane), e quindi partecipando attivamente alla diffusione virale. Secondo questi studi, sviluppati già nel 2010 all’ epoca dell’influenza aviaria, il valore dell’ inattivazione dei virus nel particolato atmosferico dipende dalle condizioni ambientali: un aumento delle temperature e della radiazione solare influisce positivamente sulla velocità di inattivazione del virus, al contrario un’umidità relativa elevata può favorire un più elevato tasso di diffusione del virus. Recentemente e’ stato presentato uno studio sulla correlazione fra l’andamento del numero dei contagiati da COVID 19 ed alcuni parametri indicatori dell’inquinamento da particolato (PM10 e PM2,5). Si e’ rilevata una sovrapposizione dei grafici che evidenzierebbe come la velocità di incremento dei casi di contagio, che ha interessato in particolare alcune zone del Nord Italia, potrebbe essere legata alle condizioni di inquinamento da particolato atmosferico. In aggiunta sembra che le curve di espansione dell’infezione rilevate ad oggi nelle regioni del sud seguano i modelli tipici della veicolazione da persona a persona, mentre quelli delle regioni del nord sembrano subire una accelerazione da trasporto. In sostanza, senza volermi sostituire agli esperti specifici del settore, credo che si possa concludere che ci sia correlazione tra inquinamento ambientale e diffusione della pandemia, anche se naturalmente il fenomeno della diffusione risulta molto più ampio.

Parlando di qualità dell’aria, il pensiero va agli impianti di trattamento aria degli edifici ad elevata permanenza di persone. Quanto incide un impianto ben progettato sulla salubrità delle persone? Un edificio con adeguati ricambi d’aria può assicurare una minore carica virale dell’aria che si respira?

In generale gli impianti di climatizzazione, soprattutto per le destinazioni ad alta permanenza e/o concentrazione di persone, rappresentano un requisito essenziale per il mantenimento di un ambiente salubre, ma puo’ anche rappresentare un rischio ed un veicolo di inquinanti nel caso in cui sia progettato e manutenuto in modo non corretto.

Indiscutibilmente i parametri che identificano la qualità di un impianto di climatizzazione sono molti e quasi tutti di importanza vitale. In primo luogo la scelta della tipologia impiantistica , che deve essere idonea alla destinazione d’uso dell’edificioin considerazione dei requisiti igienici e termoigrometrici necessari, dell’affidabilità e dei protocolli di manutenzione richiesti. Ad esempio , un impianto destinato a controllare aree con particolare interesse igienico , tipico degli ospedali, non potrà avere ricircolo d’aria ambiente . Analogamente prevedere componenti in posizione difficilmente ispezionabile significa a priori ridurre l’efficienza delle manutenzioni durante la vita dell’impianto con conseguente riduzione della salubrità dell’ambiente servito.

La portata di aria esterna pro capite risulta un requisito normativo ed ambientale di rilevante importanza ormai anche nelle unità residenziali, vista la tenuta di pareti ed infissi oggi impiegata che elimina completamente il ricambio naturale di aria per infiltrazione; a maggior ragione questo aspetto risulta vitale laddove si abbia alta concentrazione di persone o elevata permanenza in ambiente. Se si considera che l’impianto di climatizzazione risulta un sistema efficace per effettuare il lavaggio degli ambienti serviti, si capisce immediatamente come un aumento della portata di aria esterna rappresenti un sistema efficiente per aumentarne la salubrità, non solo da un punto di vista del contenuto di ossigeno per unità di volume (normalmente monitorato con sonde ambiente di CO2) , ma anche degli inquinanti ambientali. Tuttavia a tal riguardo va detto che l’aumento di aria esterna è in correlazione diretta con l’energia consumata e che esistono anche dei limiti di ricambi ora dettati dalla necessita’ di rispettare delle velocità massime ambientali, che risulterebbero fastidiose per gli occupanti. Personalmente, sin dalle prime avvisaglie della diffusione del COVID – 19, ho suggerito ai miei Clienti di posizionare gli impianti nella modalità “tutt’aria esterna” con i ventilatori alla massima velocità di rotazione, cioè alla massima portata.

Il sistema di filtraggio rappresenta un altro requisito identificativo dello standard progettuale e realizzativo impiantistico ed è forse uno dei più importanti per il mantenimento della salubrità e per evitare l’intromissione di inquinanti in ambiente. Questi dispositivi possono essere dimensionati per efficienze decisamente elevate anche su granulometrie di particolato molto impegnative e quindi rappresentare uno sbarramento efficace per gli inquinanti esterni; al tempo stesso, a meno di non impiegare filtri elettrostatici, richiedono un costo di manutenzione tanto più alto quanto più alta è la loro efficienza. Facendo riferimento a quanto riportato nella risposta precedente in merito al possibile meccanismo di propagazione dei Virus ed in particolare del COVID 19 , per destinazioni d’uso comuni (uffici, centri commerciali, etc,) si utilizza usualmente un pacco filtrante costituito da due filtri con efficienza rispettivamente dell’ 80% per il particolato PM10 e 70% per il PM2,5, quindi un sistema di sbarramento non del tutto efficace allo scopo, per il quale si dovrebbero impiegare filtraggi con efficienze piu’ elevate, attualmente non richiesti dalle norme vigenti per queste destinazioni d’uso.

Inoltre e’ opportuno sottolineare che la diffusione dell’aria in ambiente deve garantire il “lavaggio” omogeneo ed uniforme dei volumi serviti ed una bassa velocità dell’aria nella zona di occupazione, possibilmente al di sotto della soglia di percezione umana. Purtroppo tutti i requisiti citati sopra devono fare i conti con gli aspetti economici della commessa, ormai completamente legata a logiche di “pay back time” e di costi - benefici piuttosto che a considerazioni tecniche e di “buona regola d’arte”, con conseguente diminuzione delle prestazioni tecniche.

Una domanda impertinente. Possibile che una cattiva manutenzione dei filtri degli impianti di trattamento d’aria di ospedali o di centri commerciali possa peggiorare la situazione?

Credo che la domanda sollevi un aspetto di fondamentale importanza, che forse è il punto più debole della filiera impiantistica, unitamente alla conduzione degli interi sistemi . Si deve innanzitutto premettere che la cultura della manutenzione degli impianti (e non solo) nel nostro paese deve essere ancora sviluppata e soffre terribilmente delle limitazioni dei budget economici previsti allo scopo. Purtroppo nel nostro settore ci troviamo spesso a discutere sulla necessità di applicare protocolli di manutenzione ed igienizzazione in grado di mantenere l’efficienza e la salubrità degli impianti e delle zone servite ed anche ad evitare un invecchiamento precoce di tutti i componenti, oltre a garantire il confort ambientale per i quali sono stati progettati. Quindi è di tutta evidenza che una cattiva manutenzione dei filtri peggiora sicuramente la situazione e deve essere assolutamente evitato: i filtri sono l’unico sbarramento che abbiamo per gli inquinanti, quindi devono essere curati nel modo migliore. Aggiungerei anche una corretta manutenzione ed igienizzazione delle canalizzazioni di distribuzione d’aria, dove gli inquinanti biologici trovano un terreno ideale per la loro proliferazione.

In conclusione vorrei dire che l’esperienza che l’intera comunità mondiale sta vivendo con la pandemia da COVID 19 deve assolutamente spronarci a rivedere alcuni principi di progettazione degli impianti, sia a servizio delle attività comuni (uffici, attività commerciali, scuole, etc.), sia delle attività ospedaliere.

Ritengo si debbano organizzare dei tavoli tecnici per decidere quali azioni , dispositivi o concetti sia opportuno applicare per limitare al massimo il propagarsi di tali pandemie. A tal riguardo potrebbero essere senz’altro tema di investigazione l’adozione di sistemi di filtrazione di maggiore efficienza, un aumento dei parametri di aria esterna, la previsione di un eventuale trattamento termico dell’aria per combattere quei virus sensibili all’alta temperatura, l’adozione di sistemi di igienizzazione “in continuo” degli inquinanti interni, esterni e biologici sia contenuti nell’aria che dell’ambiente attraverso l’impianto di ventilazione . In sintesi ritengo necessario ed auspicabile applicare tutti gli sforzi necessari per elevare il livello di attenzione e di reazione nei confronti delle problematiche che ci affliggono in questi giorni.


Intervista a cura di Elena Stoppioni
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