In attesa che sia passata al vaglio della Commissione a Bruxelles, venerdì a Strasburgo il Parlamento ha approvato la nuova Politica Agricola Comune (PAC) in vigore dal 1° gennaio 2023. Ovvero quell’insieme di politiche e meccanismi che regolano il sistema da 60 miliardi di Euro (un terzo del bilancio UE…) su cui si regge l’agricoltura nei paesi UE.
Un sistema in cui paesi come il nostro e la Francia fanno molta attività di lobby e che solitamente si basa su uno schema dove l’80% dei contributi tiene in piedi i grandi produttori per le coltivazioni intensive, mentre il 20% arriva ai piccoli produttori per coltivazioni di qualità.
Con la nuova PAC Almeno il 30% dei finanziamenti dell’Ue dovrebbe sostenere gli sforzi degli agricoltori per la lotta al cambiamento climatico, la gestione sostenibile delle risorse naturali e la tutela della biodiversità. Inoltre, il Parlamento UE chiede agli Stati membri di incoraggiare gli agricoltori a destinare almeno il 10% dei propri terreni a interventi paesaggistici a sostegno della biodiversità. Poco, troppo poco per gli ambientalisti e per chi maneggia la materia.
In sostanza si accusano i parlamentari, dopo due anni di negoziati, di aver disatteso una strategia di sviluppo delle aree rurali con un equo compenso ai contadini e l’assenza di una politica attiva contro i cambiamenti climatici.
Eppure il documento della Commissione “From farm to Fork” – che proponeva di destinare il 25% delle aree coltivabili a biologico e ridurre del 50% i pesticidi – era stato accolto positivamente. Quindi alla fine la sensazione è che abbia prevalso un gattopardesco tutto deve cambiare perché tutto resti uguale.
Quindi se l’impianto resta questo sforeremo gli Accordi di Parigi sul Clima che non ci possiamo però più permettere di disattendere. Il settore agricolo è fondamentale sia nella mitigazione che nell’adattamento ai cambiamenti climatici.
Mitigazione quando si va a contrastare quel 20-25% di contributo che il settore fa pesare sul “carbon budget”, adattamento perché si può sfruttare positivamente l’influenza dell’agricoltura sulla biosfera, applicando anche qui un’economia circolare al ciclo della produzione alimentare. Ricordiamo qui che gli allevamenti intensivi pesano molto sulla sostenibilità del sistema agricolo, è calcolato che il 60% delle emissioni è proprio da attribuirsi alla zootecnia.
La PAC del futuro, nonostante i buoni propositi annunciati, in base a questo accordo, ricalca l’impostazione del passato. Ma a giudicare dalla soddisfazione del Ministro dell’Agricoltura italiano Teresa Bellanova, l’accordo va bene così: lei ha ottenuto i finanziamenti per il settore dell’olio di oliva e del vitivinicolo come si era promessa.
<<Una sconfitta per la biodiversità, il clima e gli agricoltori virtuosi>> l’ha invece subito bollata il movimento Slow Food. Stessa bocciatura da parte di Greenpeace: <<gli eurodeputati – precisa l’associazione – non sono riusciti a riformare la Pac, che plasmerà l’agricoltura Ue per i prossimi sette anni, per consentirle di affrontare la crisi climatica ed ecologica in corso>>.
Il timore dunque è che il Green Deal, così come le richieste avanzate dalla presidente UE Ursula Von Der Layen, siano finite nel cestino delle buone intenzioni quando i principali gruppi parlamentari hanno confezionato l’accordo che regolerà la politica agricola fino al 2030. Un anno in cui, dal punto di vista climatico, dovremo tirare ben altre somme!
Articolo e foto di Francesco Sani
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