Lo Smart Working fa bene ai lavoratori e al Pianeta
In primavera, su Repubblica, è uscito un interessante articolo di Jaime D’Alessandro dal titolo “Con lo smart working due miliardi di chilometri in meno”.
Si riportavano le stime di quel che accadrebbe se metà dei dipendenti pubblici e privati, che possono svolgere le loro mansioni anche da casa, a turno evitassero di andare in ufficio, consolidando lo smart working anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria.
La ricerca in questione ha analizzato i movimenti di 30 milioni di cittadini durante la pandemia grazie ai dati delle SIM degli smartphone per stimare quanta CO2 è stata emessa in base agli spostamenti. Dai risultati emergono volumi impressionanti, 2 miliardi e 400 milioni di chilometri percorsi in un anno che significano – fra pedaggi e usura del veicolo – una spesa a testa è di circa 300 euro, per un totale complessivo di un miliardo e 100 milioni di euro. A questo si aggiungono 330mila tonnellate di CO2 emesse.
Quanti alberi dobbiamo piantare per compensare 330mila tonnellate di CO2 emesse? Immagino che sia un calcolo difficile anche per i nostri ingegneri a Save the Planet!
L’inquinamento è un punto critico per molti paesi europei, dalla Germania all’Italia, dalla Francia alla Polonia: è nell’aria che respiriamo, nell’acqua che beviamo, nel terreno dove coltiviamo gli alimenti. È la principale causa ambientale di diverse malattie e di morti premature, specialmente tra i bambini e gli anziani, sempre più sono le persone affette da patologie direttamente collegate. L’inquinamento però non colpisce tutti allo stesso modo. Le persone che vivono in zone più povere spesso abitano vicino a siti contaminati o aree con un’elevata densità di traffico.
L’inquinamento è inoltre una delle principali cause della perdita di biodiversità e riduce la capacità degli ecosistemi di svolgere funzioni come la cattura del carbonio e la decontaminazione.
L’Agenzia Internazionale per l’Energia dell’OCSE ha ricordato ai governi che per centrare l’obiettivo delle emissioni zero al 2050 – per fermare l’aumento delle temperature a livello globale – occorre bloccare ogni attività estrattiva di gas e petrolio ma nel breve periodo è indubbio che dobbiamo ridurre le emissioni. Anzi, va fatto da subito!

Per aziende e lavoratori significa che dobbiamo spostarci di meno o in maniera più sostenibile, quindi nell’immediato lo smart working deve essere consolidato perché è un contributo all’azione.
Però ci sono anche le buone notizie: lo smart working è diventato una pratica per molti lavoratori, capace di conferire più autonomia, flessibilità, conciliazione vita-lavoro e una buona dose di fiducia. Al punto che moltissimi oggi si dicono riluttanti a fare marcia indietro. Tesi avvalorata quest’anno anche dalla ricerca del World Economic Forum, secondo cui il 48% dei lavoratori intervistati vorrebbe mantenere parte del proprio lavoro in remoto. In particolare lontano dai grandi centri urbani e dall’inquinamento e meglio se in piccoli borghi. Un nuovo fenomeno che investe varie amministrazioni comunali è quello di riconvertire il proprio borgo in smart village, dove lo smart worker ha assicurato una serie di servizi se vi si trasferisce con la famiglia, oltre che indubbiamente una connessione internet veloce.
Alcune di queste realtà sono e saranno visitate da Samuel Lo Gioco con il progetto Van Working, che vede Enegan impegnata a compensare le emissioni del VAN con la piantumazione di alberi tramite un nostro progetto.
Lo smart working non è soltanto la “parola del 2020” o la nuova frontiera dell’organizzazione aziendale, è un contributo diretto alla lotta contro il cambiamento climatico.
Articolo di Francesco Sani