L’ONU presenta il nuovo rapporto sul clima
L’IPCC: cambiamenti climatici sempre più rapidi, diffusi e intensi. Occorre agire subito per ridurre le emissioni.
Questa mattina Save the Planet ha assistito alla video conferenza stampa di presentazione del Sesto Rapporto di Valutazione del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC).
In breve: la situazione del clima non è grave, è gravissima! Il rapporto pubblicato oggi è la più aggiornata e completa rassegna scientifica sui cambiamenti climatici, base per i lavori della 26a Conferenza delle Parti dell’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change) ovvero COP26. Nei numeri significa che la CO2 è a livelli record da 2 milioni di anni e gli scienziati del gruppo – tra cui tre membri italiani del CNR - sono tutti concordi che occorre ridurre le emissioni da subito. Ancora, altri dati preoccupanti, in 50 anni la temperatura della Terra è cresciuta a una velocità che non ha uguali negli ultimi 2.000 anni e l’aumento medio del livello del mare è cresciuto a una velocità mai vista negli ultimi 3.000 anni.
È stato accertato che il cambiamento climatico riguarda ogni area della Terra e questa è l’ultima chiamata ai governi: operare forti e costanti riduzioni di emissioni di Co2 in grado di abbassare la febbre del pianeta e limitare i disastri a cui stiamo assistendo dal Canada alla Germania. In particolare la CO2 che permane nell’atmosfera per centinaia di anni.
Per questo motivo gli scienziati hanno spiegato che nel 2020, durante i vari lockdown causati dalla pandemia, la riduzione globale del 7% dell’anidride carbonica non ha prodotto alcun effetto apprezzabile sulla temperatura terrestre. Tra l’altro tagliare le emissioni oggi significherebbe vedere benefici tra 20 o 30 anni, ecco perché l’appuntamento di novembre di Glasgow, la COP26, è l’ultima chiamata.

La COP26 di Glasgow
L’attività dei negoziatori per il clima è già iniziata – a proposito, spiace che il governo italiano non ha ancora nominato il negoziatore per il nostro paese… - e le conclusioni odierne dell’IPCC dovranno essere le basi per le decisioni che la comunità scientifica sottolinea non essere più rimandabili.
A Glasgow, liberatesi dell’incubo Trump, tornano gli USA con John Kerry nel ruolo di negoziatore di prestigio. Siccome uno dei punti in agenda sarà verificare lo stato di avanzamento delle azioni intraprese dagli stati per rispettare l’impegno di tenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2° (e proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5°) sarà interessante capire cosa gli americani metteranno sul piatto per trattare con Cina e India, a oggi responsabili da sole di metà delle emissioni in atmosfera. Ormai non c’è più dubbio che il surriscaldamento non è imputabile a cause naturali ma è dovuto alle azioni umani, così dal 1900 ci siamo già giocati 1° di aumento.
Aree geografiche più a rischio di altre, siccità, scioglimento dei ghiacci e innalzamento degli oceani.
Ogni regione del pianeta affronta cambiamenti crescenti, tuttavia in alcune questi mutamenti sembrano più rapidi e allarmanti. Questo significa che ci sono popolazioni sofferenti in prima persona conseguenze molto diverse dalla media globale. Per esempio, il riscaldamento nella regione Artica è più del doppio, con effetti devastanti per l’innalzamento dei mari e la sopravvivenza di persone ed ecosistemi sulle coste. Anche l’Italia deve stare in guardia perché il Mediterraneo sembra diventato l’hot spot dei cambiamenti climatici in Europa, con un aumento dei fenomeni atmosferici estremi aumentati in maniera esponenziale.
Se il Mediterraneo è sotto stress idrico, a fronte di siccità estreme da noi si associano in altre regioni piogge più intense e inondazioni.

Non perdiamo la speranza
In questo scenario sul clima a tinte fosche, il rapporto fornisce però anche un elemento di speranza. Vi si sottolinea che “le attività̀ umane hanno ancora il potenziale per determinare il corso del clima futuro”. Quindi la macchina non è ancora inarrestabile. Per questo l’IPCC nel suo rapporto fornisce una valutazione dei cambiamenti climatici su scala regionale più dettagliata rispetto al passato.
Per la prima volta include un focus sulle informazioni utili per valutazione del rischio, l’adattamento e i processi decisionali che potrebbero aiutarci nel tradurre i cambiamenti fisici del clima - calore, freddo, pioggia, siccità, neve, vento, inondazioni… - nei loro significati più diretti per le società e per gli ecosistemi. Ovviamente la premessa resta la solita: nel caso non fosse già troppo tardi, non c’è più tempo da perdere!
Articolo di Francesco Sani
Cover photo: © Betty Colombo