Ultima fermata Glasgow. La COP26 per un pianeta ancora abitabile
<<Gli attuali piani climatici si basano su una convinzione errata: poter impedire il crollo di un sistema complesso attraverso una crescita “verde”. Ma i sistemi complessi non funzionano così. Assorbono costantemente stress per poi collassare improvvisamente>>.
Così George Monbiot sul The Guardian ha presentato la sfida della Conferenza ONU sul Clima di Glasgow – conosciuta come COP26 – un appuntamento così atteso che la Gran Bretagna come paese ospitante ha alzato i toni. <<Se fallisce, fallisce tutto>> ha detto il premier Boris Johnson, <<questa è l’ultima speranza>> gli ha fatto eco il presidente del vertice Alok Sharma, ex ministro e membro anch’esso del Partito Conservatore.
Ma perché l’appuntamento è così importante? Intanto spieghiamo il nome: COP26 significa che è la 26° Conferenza delle Parti, la prima fu nel 1995 a Berlino, preceduta dall’Earth Summit di Rio de Janeiro del 1992, antesignano dei vertici sulla salvaguardia della Terra.
A partire da Glasgow saranno vincolanti per i Paesi gli Accordi di Parigi sul clima del 2015, conclusione dei lavori della COP21. In quella sede si trovò l’accordo sul contenere l’aumento medio della temperatura terrestre entro i 2° – possibilmente 1,5° – rispetto all’era preindustriale, riducendo i gas serra. Da Rio de Janeiro, quindi in trent’anni, si è calcolato la temperatura sia aumentata globalmente di 1,1° e già questo ha prodotto eventi estremi in numero esponenziale anno dopo anno. Da choc termici a bombe d’acqua, in Italia ne sono stati già registrati 1.400 nel 2021 secondo la World Meteorological Organization.
Eventi estremi che erano stati “solo” 363 nel 2010! Perché in realtà in Italia la temperatura media è aumentata più di quella globale, da noi siamo a 1,34° negli ultimi 50 anni, la tropicalizzazione del nostro clima è ormai un fatto. Il bacino del Mediterraneo in generale è una di quelle aree più afflitte dal cambiamento climatico e Roma una delle città più colpite dal meteo impazzito.
Le emissioni di Co2 sono responsabili di questa alterazione del clima. La concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è aumentata del 44% rispetto all’era preindustriale e del 26% rispetto al sopracitato summit di Rio del 1992. I calcoli degli scienziati stimano che negli ultimi 150 anni siano state emesse 2.080 giga-tonnellate di Co2, in particolare nell’ultimo decennio sono cresciute costantemente. I gas serra lasciano filtrare parte delle radiazioni emesse dal Sole e trattengono parte delle radiazioni infrarosse emesse dalla Terra, producendo il cosiddetto “effetto serra”.
Questo fenomeno influenza la temperatura del pianeta e le condizioni di vita per l’uomo, le piante, gli animali e i microorganismi. Inoltre, aumenta l’acidificazione degli oceani, riduce la produzione agricola, aumenta la desertificazione (con la conseguente migrazione di milioni di popolazioni dall’Africa Subsahariana), altera le precipitazioni e favorisce gli incendi in tutti i continenti. Tutte queste conseguenze riducono anche la capacità di cattura della Co2 stessa degli eco-sistemi, innescando un circolo vizioso che fa affermare agli scienziati che il cambiamento climatico stia correndo così velocemente da considerarsi inevitabile e inarrestabile. Quindi cosa ci resta da fare dato che non abbiamo più tempo? Due azioni: mitigazione e adattamento.
Ritornando così agli Accordi di Parigi da rendere vincolanti oggi con la COP26, gli impegni dell’Unione Europea, USA e Regno Unito sono per obiettivo zero emissioni di gas serra al 2050. La Cina, con i suoi problemi energetici, l’ha promesso al 2060. Parlando degli altri grandi inquinatori ci sono l’India e l’Indonesia a chiedere più tempo per ridurre la loro dipendenza dal carbone e c’è la Russia che sta “dormendo” senza dire cosa vuole fare. E ancora i governi negazionisti sul clima di Australia e Brasile. Anche con quest’ultimi bisognerà trattare, proprio loro sono stati decisivi nel fallimento della COP25 di Madrid nel 2019.
Poi c’è il fondo da 100 miliardi di dollari per i Paesi più poveri, per aiutarli a fare investimenti in infrastrutture che li proteggano dalle alterazioni climatiche (c’è anche una questione di disuguaglianza sul tavolo: i ricchi inquinano e i poveri subiscono di più la crisi climatica).
Stavolta non si può fallire, a Glasgow il compito della COP26 è quello di mediare fra le parti per arrivare a impegni precisi e concreti, dando alla Terra la speranza di essere in futuro un pianeta ancora abitabile.
Articolo di Francesco Sani